È considerato da molti il più creativo tra i pianisti contemporanei. Fra ricerca e improvvisazione, sulla sua tastiera sono passati - e passano tuttora - Gustav Mahler ma anche i Beatles, Richard Wagner ma anche l’elettronica, Bach ma anche il jazz. L’anno scorso la nomina a direttore artistico della Biennale Musica, oltre a essere un riconoscimento di altissimo prestigio, non ha fatto che rinsaldare il suo legame fortissimo con l’Italia.
Uri Caine - americano nato e cresciuto a Philadelphia, classe 1956 - presenta il suo concerto «Solitaire» stasera alle 21.30, al Teatro Miela di Trieste, nell’ambito della dodicesima edizione dei festeggiamenti per il compleanno di Erik Satie.
«Sono molto contento di venire a suonare a Trieste - dice l’artista, al telefono dalla New York nella quale vive da anni - in occasione di questa rassegna dedicata a Satie. Per me lui è stato una delle figure più importanti della cultura e della musica del Novecento. Ha indicato nuova strade, nuove direzioni che altri dopo di lui hanno imboccato. È stato un innovatore. Anche la musica rock e pop gli deve moltissimo».
Le sue origini musicali?
«Il jazz è stata la mia prima grande passione. C'è stato un periodo in cui sentivo moltissimo i dischi Miles Davis e John Coltrane, i dischi della Blue Note, quelli di Chick Corea, di McCoy Tyner, di Herbie Hancock... Ascoltavo anche una gran quantità di musica proveniente dal Brasile, da Cuba, dall'Africa, e allo stesso tempo musica contemporanea, musica elettronica e musica da concerto... Ogni cosa catturava la mia immaginazione».
Philadelphia?
«Crescere in una città come Philadelphia mi ha aiutato molto, per il suo ambiente cosmopolita che ha facilitato la mia formazione. Un processo che poi è continuato nella città americana cosmopolita per eccellenza, New York, dove tutto è moltiplicato all'ennesima potenza e dove è possibile incontare e suonare con tutti i migliori musicisti che ci siano al mondo».
Classica e jazz: due mondi che un tempo sembravano incomunicabili...
«Invece tutti i generi musicali possono comunicare fra loro. La cosa che tuttora mi appassiona di più è approfondire le diversità degli stili, sovrapponendoli l’un con l’altro e poi creando dal loro incontro altre cose. Qualsiasi genere, qualsiasi musica può essere trasformata. Ci sono approcci diversi, che nascono dall’approccio diverso che un musicista ha nei confronti della partitura. Chi è abituato all’improvvisazione è portato a esplorare, cambiare, incrociare...».
L’esperienza alla Biennale?
«È stata una grande e bellissima esperienza. Il mio è stato un festival di musica contemporanea, nel quale ho voluto proporre una riflessione sulle diverse correnti contemporanee che in qualche modo hanno lasciato traccia nelle precedenti edizioni, in equilibrio tra le musiche strutturate e quelle improvvisate. Non sono riuscito ad avere tutti gli artisti che avrei voluto, ma a tutti ho lasciato la più completa libertà espressiva».
Il suo «Solitaire»?
«È un recital di piano solo, nel quale sono solito presentare una combinazione di standard, di libere improvvisazioni, di brani originali, qualcos’altro che stava nel disco omonimo pubblicato qualche anno fa...».
Uri Caine, come si diceva, ha suonato spesso in Italia. Dove il suo lavoro lo ha portato recentemente a confrontarsi con figure mitiche come Ulisse e Otello.
Il progetto Ulisse è stata una realizzazione del Festival di Terni, sono il pianista americano è stato invitato a partecipare con altri artisti, come l’attore Marco Paolini. «L'idea - spiega Uri Caine - era quella di unire la musica di Giorgio Gaslini e del suo gruppo, alla poesia di Marco Paolini e al mio trio con Dave Binney e Jim Black. Dovevamo dividere le differenti parti del racconto e i diversi personaggi della storia: è stato molto divertente lavorare insieme, specialmente sulle parti recitate da Marco Paolini, unendo gli aspetti musicali del nostro lavoro alle parole. Abbiamo cercato di trovare diversi modi per interagire con la sua poesia, sia seguendolo che andando in direzione opposta. Lui ha una maniera molto musicale di recitare, c'è un elemento musicale nel suo modo di proporre la parola».
«Il lavoro su Otello - conclude l’artista - è del tutto diverso: è basato sulla combinazione della storia con la musica di Verdi. E di tutte le versioni della tragedia ricavate nel corso dei secoli dal testo di Shakespeare e l'originale shakespeariano».
«Invece tutti i generi musicali possono comunicare fra loro. La cosa che tuttora mi appassiona di più è approfondire le diversità degli stili, sovrapponendoli l’un con l’altro e poi creando dal loro incontro altre cose. Qualsiasi genere, qualsiasi musica può essere trasformata. Ci sono approcci diversi, che nascono dall’approccio diverso che un musicista ha nei confronti della partitura. Chi è abituato all’improvvisazione è portato a esplorare, cambiare, incrociare...».
RispondiEliminaScrivo, sottoscrivo e sottolineo pure va...