lunedì 15 novembre 2004

INTERVISTA POOH / RED CANZIAN

«Allo stadio devi gridare, a teatro puoi anche sussurrare. In fondo è la stessa differenza che c’è fra una cena con cinquanta invitati e una a lume di candela, con due soli commensali...».
Parla Red Canzian, che da trentatre anni (su un totale di trentotto di carriera del gruppo) è uno dei quattro Pooh. Il cui nuovo tour teatrale fa tappa giovedì e venerdì al Politeama Rossetti. «Erano dieci anni - spiega il bassista, che vive vicino Treviso - che non suonavamo nei teatri, e devo dire che ci mancava. Vedere la gente in faccia è una sensazione impagabile, ti permette di suonare più rilassato, non sei costretto a spingere sempre sull’acceleratore...».
Un altro vostro tour teatrale fu quello del ’91...
«Sì, quello dei venticinque anni di carriera, intitolato ”La nostra storia”. Ricordo anche in quell’occasione la tappa triestina, sempre al Rossetti, un bellissimo teatro nel quale torniamo sempre volentieri...».
Dall’arresto a Trieste del vostro batterista saranno invece passati trent’anni...
«Eh sì... era l’estate del ’74. Eravamo seduti al tavolo di un ristorante sulle Rive, davanti alla vecchia pescheria, e Stefano aveva difeso una donna presa a male parole da un automobilista per aver attraversato la strada in maniera repentina. Finì a insulti. E il tipo era un carabiniere, o un poliziotto, non ricordo bene, in borghese. Risultato: oltraggio a pubblico ufficiale, due notti al Coroneo, processo per direttissima con condanna a sei mesi in primo grado e assoluzione in appello...».
Quella sera fu anche il vostro unico concerto in tre...
«Già, dovevamo suonare al Castello di San Giusto. E mentre il nostro batterista stava in galera, noi ci presentammo in formazione inedita, senza batteria, con me e Dodi che davamo il ritmo battendo col piede sulle tavole del palcoscenico...».
Di quegli anni, in questo tour, rifate diverse canzoni...
«Sì, la scaletta comprende quarantacinque canzoni, una sorta di ”greatest hits” fra i quali non mancano i cavalli di battaglia degli anni Settanta. C’è anche ”Parsifal”, il nostro rock sinfonico, con tanto di parte orchestrale lunga più di sei minuti...».
Le vecchie «suite», proprio mentre a Sanremo pongono il limite dei tre minuti...
«Ecco, quella novità del regolamento la trovo davvero incredibile. Come si può porre un limite del genere? La nostra scelta di riproporre anche un momento orchestrale come la ”suite” va intesa in controtendenza con chi, soprattutto in tivù, vuole mettere la musica in secondo piano, privilegiando solo il revival o poenndo limiti assurdi...».
Invece...?
«Invece un artista, un gruppo devono avere la possibilità anche di sviluppare un discorso musicale, liberare la propria creatività, creare una magia attorno a un brano. Solo così si aiuta la discografia, solo così si restituisce energia vitale a un settore in perenne crisi...».
Ma case discografiche e artisti stanno correndo ai ripari...
«Per fortuna. La pirateria sta uccidendo il settore. L’unica alternativa è usare i nuovi strumenti, entrare con delle regole nel settore della musica ”on line”. Perchè se non ci sono i soldi si chiude baracca, non si investe più sui giovani, non c’è futuro...».
A proposito di giovani: in quattro avete undici figli, ma i due di Facchinetti sono ormai delle star...
«Dj Francesco ha ventiquattro anni, lo abbiamo visto crescere, siamo felici del successo che ha. Anche perchè è un ragazzo speciale e se lo merita. La sorella, Alessandra, che è più grande, me la ricordo che gattonava sotto il pianoforte del padre. Ora è una stilista di punta, ha preso il posto di Tom Ford nel settore donna di Gucci, le auguro di continuare così».
Li sentite un po’ «figli dei Pooh»?
«Sì, perchè la nostra è davvero come una grande famiglia. Lo dico senza retorica. E poi, Dj e Alessandra sono i più grandi di età: ma anche fra gli altri alcuni si stanno muovendo, pian piano, nel nostro settore. Del resto, sono cresciuti in questo ambiente...».
Il musical «Pinocchio»?
«È stata una grande esperienza. Per la prima volta ci siamo trovati a scrivere cose che non sarebbero state cantate da noi stessi. Ci siamo sentiti molto liberi. E siamo molto soddisfatti del risultato, oltre che dell’ottima accoglienza che il pubblico sta tuttora riservando al musical».
Nell’ultimo disco, «Ascolta», avete riscoperto i cori...
«Fra le nuove canzoni, abbiamo deciso di mettere nel disco proprio quelle che si prestavano di più al canto corale, che è stato storicamente una sorta di nostro marchio di fabbrica. Ne è venuto fuori quello che forse è il nostro album più lirico, frutto di una maturità compositiva di tutti e quattro...».
Perchè «Ascolta»?
«Non è un imperativo, ma piuttosto un consiglio: un consiglio rivolto a chi non ascolta le persone che ha vicino. Molti pretendono di essere ascoltati, ma non offrono al prossimo altrettanta disponibilità. Viviamo in un mondo in cui tutti urlano, ma sono pochi quelli che ascoltano...».
Vi dispiace essere ricordati solo per le canzoni d’amore?
«No, ormai lo abbiamo accettato. Ma il nostro pubblico più attento sa che abbiamo trattato spesso anche temi sociali. ”Pierre” parlava nel ’76 di omosessualità. ”Pensiero” era la storia di un uomo messo in galera ingiustamente, per un fatto che non aveva commesso. La stessa ”Parsifal” era un inno alla pace, con l’eroe wagneriano che getta le armi e rifiuta il ruolo di supereroe...».
Una volta siete stati anche censurati...
«Sì, nel ’66 del nostro esordio, con ”Brennero ’66”. Era ispirata a un fatto di cronaca: l’uccisione di un finanziere, nell’Alto Adige degli attentati di quegli anni. Vincemmo il Festival delle Rose, ma la Rai ci censurò, imponendo un titolo diverso per il festival (diventò ”Le campane del silenzio”) e cancellando un verso che diceva ”t’hanno ammazzato quasi per gioco”... Erano proprio altri tempi».

Nessun commento:

Posta un commento