«Sì, è vero. Scegliemmo di chiamarci Van der Graaf Generator perchè ci ispirammo al generatore inventato dal signor Van der Graaff, con due “effe”, uno strumento in grado di accumulare carica elettrostatica. Ma facemmo un po’ di confusione, e lasciammo per strada una “effe”...».
Peter Hammill torna a suonare a Trieste, giovedì alle 21 al Teatro Miela, da solo con pianoforte e chitarra, a tre anni di distanza dal concerto di piazza Unità. E ricorda con piacere le origini e i tempi del gruppo di cui è stato leader. Il gruppo, i Van der Graaf Generator, appunto, considerato da molti - assieme ai King Crimson e a pochi altri - uno dei più importanti e originali del rock progressive inglese degli anni Settanta.
Hammill, ma com’era l’atmosfera musicale e culturale nella Manchester di fine anni Sessanta?
«Molto eccitante - risponde il musicista, nato a Londra nel 1948 -, il mondo stava cambiando, l’Inghilterra era il centro di questo cambiamento, tutto sembrava possibile. E poi eravamo giovani, una condizione anagrafica che facilita gli entusiasmi».
E gli entusiammi davvero non mancavano, quando all’Università di Manchester, fra una lezione e l’altra, le strade artistiche del cantante-filosofo Hammill si unirono con quelle del batterista Guy Evans e dell’organista Hugh Banton. Per dar vita a suoni e parole che esprimevano un pessimismo alquanto allucinato sul destino dell’uomo. Il primo album del gruppo, “The aerosol grey machine”, arrivò nel ’69, ma quasi di pari passo si sviluppò la carriera solista del nostro: il primo album da lui firmato, “Fool’s mate”, è infatti del ’71. Anni in cui in Italia, fra i giovani appassionati del rock più all’avanguardia, la band e il suo leader erano considerate delle star.
Nei testi con i Van der Graaf c’erano riferimenti alla fantascienza; da solista, soprattutto nella produzione più recente, riferimenti alla filosofia. Un problema di età?
«Ovviamente - dice Hammill, che nel 2003 è sopravvissuto a un infarto, ma pochi mesi dopo era già in pista e ha pubblicato l’album “Incoherence”, per il quale ha poi ricevuto il Premio Tenco - a età diverse corrispondono anche cose e argomenti che ti possono interessare. In verità, io da ragazzo ero molto preso dall’universo e dalle suggestioni della fantascienza. Oggi molto meno...».
Sia con i Van der Graaf che da solista ha sempre avuto più successo in Italia che in Inghilterra. Come mai?
«Evidentemente avevamo qualcosa di speciale, che ci permise di entrare immediatamente in relazione con il pubblico italiano, che in quegli anni era affamato di novità e anche molto preparato. Chissà, forse arrivammo nel posto giusto al momento giusto. Di certo sono felice che questo feeling sia continuato anche quando mi sono proposto come solista».
E l’esperienza di una band è legata solo agli anni giovanili?
«Quella con una band forse. Di certo non l’esperienza musicale, che per definizione non ha età».
Per lei la musica è anche autoanalisi?
«Più che di autoanalisi preferirei parlare di autoespressione, o ancora meglio autoesame. Di certo la musica, l’espressione artistica, aiuta un individuo a conoscersi meglio, a scavare dentro se stesso».
Una volta Johnny Lydon dei Sex Pistols disse che si era ispirato a lei per il suo “ululato punk”. Se l’aspettava? E le ha fatto piacere?
«Alla fine degli anni Settanta alcuni punk erano dalla nostra parte, pur facendo musica abbastanza diversa. Dunque la cosa non è stata una vera sorpresa, per me. E comunque fa sempre piacere aver rappresentato un riferimento, o un’ispirazione per altri musicisti».
Lei ha girato molto l'Italia: che cosa ama e cosa detesta del nostro Paese?
«Dell’Italia ho sempre amato il cibo, il vino, il tempo, l’architettura, la cultura, i paesaggi, non necessariamente in quest’ordine. Non amo quel certo modo caotico in cui le cose sono organizzate, o a volte non organizzate, nel nostro Paese».
Ricorda il concerto a Trieste nell’estate 2009? Che impressione ebbe della città?
«Fu uno splendido concerto in una meravigliosa città, dove sono molto contento di ritornare...».
Il concerto di giovedì al Miela, organizzato dall’associazione Musica Libera di Davide Casali, è il primo dei tre previsti in Italia nell’attuale tour: Hammill sarà poi venerdì a Schio (Vicenza) e domenica a Milano.
Il più recente album solista di Peter Hammill è “Thin air”, pubblicato nel 2009, nello stesso anno del precedente concerto a Trieste. Ma dopo quel disco sono uscite due importanti raccolte del musicista inglese: lo scorso anno il doppio “PNO, GTR, VOX (Live)” (Fie!Records), contenente i “live” di Hammill registrati durante il tour in Giappone e Regno Unito, e appena tre mesi fa “PNO, GTR, VOX BOX (Live)”, ben sette cd comprendenti la bellezza di otto ore di performance dal vivo tratte dai tour precedenti, ma anche da altri suoi concerti solisti eseguiti in giro per il mondo dal 2000 a oggi.
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