Se il solo annuncio della “mozione urgente” aveva scatenato tutta una serie di commenti negativi e inviti a ripensarci, con la rimozione dello striscione giallo dalla facciata del municipio lo stupore e il disappunto hanno virato sui toni dell’indignazione. Anche nel mondo della cultura, dello spettacolo, del giornalismo, fra i cosiddetti intellettuali. Sul giornale di ieri avevamo già registrato le prese di posizione e la mobilitazione dell’attore Alessandro Gassmann, del filosofo Massimo Cacciari, di Massimo Cirri (anche dai microfoni di “Caterpillar”, su RadioDue), del “turista per caso” Patrizio Roversi, del giornalista sotto scorta dell’Espresso Giovanni Tizian, della storica voce Rai da Mosca Demetrio Volcic.
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«Ma io mi domando: questo sindaco e questa amministrazione, che si sono insediati da poco, non hanno cose più urgenti da fare? Che so, l’economia, la qualità della vita, la cultura...». Se lo chiede Moni Ovadia, uomo di teatro, massimo divulgatore della cultura yiddish in Italia, particolarmente legato a Trieste.
Che prosegue: «La argomentazioni, poi, mi sembrano risibili. Cosa vuol dire che dopo tanti mesi c’è l’effetto assuefazione? Allora con questo criterio rimuoviamo tutti i monumenti e i memoriali che ricordano fatti tragici. Non disturbare il turista? Allora non parliamo più di guerre, di Siria, delle migliaia di morti in mare. La verità è che questa scelta del Comune è un boomerang, scatena polemiche, divide i cittadini in maniera trasversale, non è una questione di destra e di sinistra, ma un fatto di civiltà».
Ezio Mauro, per vent’anni direttore e ora editorialista di “Repubblica”, sottolinea il ruolo dell’opinione pubblica in questa vicenda. Che «è stato ed è importantissimo - dice - nel richiedere verità e rifiutare spiegazioni di comodo. La memoria di una comunità è fondamentale. Non solo lo Stato e le istituzioni devono fare la loro parte».
«Anche le motivazioni addotte - aggiunge - mi sembrano deboli. C’è una sorta di galateo estetico, non bisogna parlare dei guai perchè ciò danneggia il Paese. Ma il bene di un Paese si fa chiedendo verità e trasparenza, e rimanendo al fianco della famiglia. Trovo dunque importante che Trieste continui a tenere un’attenzione speciale su questa dolorosa vicenda».
Gian Antonio Stella, scrittore e firma di punta del Corriere della Sera: «Capisco le ragioni del sindaco, capisco che ci sia un’assuefazione che a un certo momento può pesare sulla memoria delle persone. Capisco che se uno arriva a Trieste avrebbe piacere di vedere piazza dell’Unità nel suo splendore, senza striscioni che ricordino tragedie e cause peraltro nobilissime. Però togliere lo striscione in questo momento è come voler rimuovere l’effetto memoria su Regeni. E siccome la verità non è ancora arrivata, forse sarebbe stato il caso di lasciare lo striscione al suo posto. La storia ha i suoi tempi. E forse questo non era il momento adatto».
L’eco della vicenda ha raggiunto anche la giornalista triestina Giovanna Botteri, corrispondente Rai da New York: «Non possiamo camminare da soli. E una volta che abbiamo cominciato, dobbiamo prendere l’impegno solenne che andremo avanti, fino in fondo. Non possiamo tornare indietro. Queste cose Martin Luther King le diceva più di cinquant’anni fa. Ma valgono sempre, in tutte le battaglie per la verità. E la giustizia».
Tranchant l’inviato di guerra triestino Fausto Biloslavo, che fa un distinguo. «Togliere lo striscione - scrive su Facebook - è una boiata. Piuttosto sarebbe il caso di aggiungere una semplice parolina: “tutta” la verità per Regeni. Non solo quella a senso unico contro l’Egitto, che ha sicuramente le mani sporche di sangue, ma pure sul ruolo più che ambiguo dell’Università di Cambridge e in particolare dei tutor che lo hanno mandato allo sbaraglio».
La giornalista Sandra Bonsanti, presidente emerito di “Libertà e Giustizia”, già parlamentare: «Inorridisco soprattutto per le motivazioni. Penso che, una volta presa la decisione di esporlo, lo striscione non vada tolto finchè non c’è ancora chiarezza sulla dolorosa vicenda. Qui invece sembra prevalere la decisione di lasciar perdere, di arrendersi alle ragioni degli affari. E la scelta del Comune di Trieste rispecchia proprio questa tendenza».
«La storia di Giulio Regeni - conclude Bonsanti - non può e non deve aggiungersi a quelle di tante persone che vengono abbondanate alla dimenticanza della storia, non è giusto. È passato tanto tempo? Beh, è proprio il motivo per cui quello striscione deve restare esposto...».
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