venerdì 7 ottobre 2016

TRIESTE, STRISCIONE PER GIULIO REGENI

Stupore, incredulità, disappunto. Anche il mondo della cultura e dello spettacolo stenta a comprendere la “strana fretta” dell’amministrazione comunale triestina di togliere dalla facciata del municipio lo striscione “Verità per Giulio Regeni”. Cominciamo con un “tweet”. Quello dell’attore Alessandro Gassmann, che chiede ironicamente al sindaco Dipiazza: «Assuefazione visiva? E che è...?»
«Una scelta che non comprendo - dice il filosofo Massimo Cacciari -, anche se sappiamo che uno striscione purtroppo non cambia le cose. Sarebbe stato serio parlarne con la famiglia del giovane, chiedere innanzitutto a loro se ritengono ancora utile che quello striscione rimanga lì. Assuefazione? Questo è vero, ma ormai siamo assuefatti anche alle centinaia di morti in mare, che stentano a trovare spazio persino sui giornali». Lapidario Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano e volto televisivo: «Una scelta assolutamente vergognosa, soprattutto per una città storicamente così importante per i valori della libertà, della democrazia e della tutela del dissenso».
«Ma cosa sta succedendo a Trieste?», chiede e si chiede Massimo Cirri, scrittore e conduttore radiofonico di “Caterpillar”. «Prima il tentativo di negare piazza Unità per il ricordo dell’annuncio delle leggi razziali. Ora questa storia. Cos’è, voglia di far vedere la propria cattiveria?».
«Trovo - prosegue Cirri - ci sia anche una componente di ipocrisia, nel dire che si crea un effetto di assuefazione: queste persone non hanno nemmeno il coraggio di fare una battaglia diretta. La verità è che la ferita è ancora aperta. È una scelta infelice come i nostri tempi, fra l’altro nella città dove Giulio ha studiato. Il turista che vede lo striscione? Vede che c’è una comunità unita nel chiedere verità...».
«Un caso come quello del povero Giulio Regeni - dice il “turista per caso” Patrizio Roversi - non deve mai essere dimenticato né abbandonato. È una ferita che rimane aperta, anche se coinvolge le relazioni fra stati. Mi spiace che questa tragedia leda l’immagine di un paese che conserva tesori inestimabili, per il turista oggi c’è un imbarazzo in più, nello scegliere quella meta».
«Trovo che il caso - prosegue - vada risolto quanto prima, anche per evitare che fatti del genere si ripetano. Una storia terribile, l’Egitto ha fatto cose inaccettabili, che gettano ombra su quel meraviglioso paese. Ed è sbagliato che si perda memoria di Regeni proprio vicino alla sua Fiumicello». Duro il commento di Gianni Lepre, regista triestino diviso tra teatro, televisione e cinema. «Una scelta vigliacca - scandisce -, che toglie voce a chi non ce l’ha più. Noi parliamo e parlavamo per lui, dobbiamo continuare a farlo. Non è questione estetica ma morale, anche perché l’estetica è in funzione della morale. E il nostro dovere è dare voce a chi non ce l’ha più».
Secondo Giovanni Tizian, giornalista dell’Espresso che vive sotto scorta, anche i simboli sono importanti. «Anzi, fondamentali in queste battaglie di ricerca della verità e dunque della libertà. Assuefazione? Non direi. Trovo anzi bizzarro togliere lo striscione proprio in questo momento in cui emergono fatti nuovi nelle indagini. Spesso le giustificazioni sui turisti che arrivano e non capiscono sono povere scuse, le stesse usate quando cerchiamo di far emergere i lati oscuri di un territorio, di una regione. La politica ha questa ossessione, come se certi fatti sporcassero qualcosa. Chiedere la verita è un atto di civiltà, non va mai nascosto».
Dalla sua casa di Gorizia esprime il suo parere anche Demetrio Volcic, scrittore e storico corrispondente Rai da Mosca, oltre che ex direttore del Tg1: «Sarebbe stato utile che il Comune, prima di prendere questa iniziativa, avesse chiesto, ovviamente in via riservata, quali sono le ultime novità nelle indagini. Capisco tutto: le ragioni degli affari, del turismo. Ma si tratta di decisioni simboliche, forse retoriche, da prendere dopo le consultazioni con la nostra intelligence». Sulle ragione della cosiddetta realpolitik ritorna Sergio Romano, storico e diplomatico. «Non discuto la scelta del Comune di Trieste. E ovviamente rispetto il dramma della famiglia. So che il governo italiano aveva l’obbligo politico e morale di fare pressioni sul Cairo. Ma non sono d’accordo che la politica estera venga delegata all’opinione pubblica. Oggi non si fa politica in Medio Oriente senza parlare con l’Egitto. E un governo ha molti modi per far capire a un governo straniero il proprio disappunto. Senza arrivare a rotture».

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