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lunedì 9 marzo 2015
SILENCIO, mafie e giornalisti fra Messico e Calabria / da Articolo 21
"Mi dicono che all'inaugurazione dell'anno giudiziario si parla sempre di Trieste come di un'isola felice. Quasi un'operazione di copia-incolla anno dopo anno. Ebbene, mi sembrerebbe molto strano che questa città fosse l'unica al mondo senza mafia. Chissà, forse è solo un problema di magistrati e investigatori disattenti...". Attilio Bolzoni, scrittore e giornalista, firma storica di Repubblica su cose di mafia e di Sicilia, ha chiuso con queste parole - accompagnate da un sorriso malizioso - il dibattito seguito alla presentazione triestina del docu-film "Silencio", che ha realizzato con Massimo Cappello. Una proiezione organizzata all'Auditorium del Museo Revoltella dall'associazione triestina di "Libera", con la collaborazione del Comune di Trieste (la vicesindaca e giornalista Fabiana Martini ha condotto il dibattito finale, al quale hanno partecipato anche Cappello e don Tonio Dell'Olio, responsabile del settore internazionale di "Libera") e con il patrocinio dell'Assostampa del Friuli Venezia Giulia.
Il docu-film, prodotto dall'Associazione stampa romana e dalla Fondazione Musica per Roma, è un'opera di grande valore civile. Parla di Messico e di Calabria, di narcos e di 'ndrangheta. Ma parla anche di decine di giornalisti seviziati, uccisi, fatti sparire nel nulla senza che venisse mai identificato un colpevole, nelle terre dove sorgono i lussuosi resort di Playa del Carmen, dove un italiano su tre ha a che fare con la malavita. E parla di altrettanti giovani cronisti calabresi finiti nel mirino della criminalità organizzata perchè hanno cominciato a dare fastidio al capoclan o al potente di turno. O semplicemente perchè hanno smesso di fare da cassa di risonanza ai potenti e hanno scelto di fare il loro lavoro con onestà. O ancora perchè hanno cominciato a chiedersi "perchè?". "Porqué?", ovvero la regola più importante di quella anglosassone delle "5 W", che i "reporteros" messicani hanno insegnato a Bolzoni nel viaggio compiuto nella primavera dell'anno scorso, dal quale ha avuto origine "Silencio".
"Da tempo - dice il giornalista - volevo dedicare un servizio ai giornalisti uccisi in Messico. Prima di partire ho studiato a lungo le storie di queste persone apparentemente ingoiate dal nulla, ma la situazione che ho trovato laggiù è decisamente più grave di quella che mi ero immaginato. Ne hanno uccise ottantuno negli ultimi quattordici anni. E altre sedici sono scomparse. E non c'è mai un colpevole. La cosa più grave è che nel 65 per cento dei casi, i killer non sono i narcos".
E poi la nostra Calabria, terra splendida e sfortunata. "C'è un collante - prosegue Bolzoni - tra queste due realtà distanti geograficamente ma non per mentalità: la presenza di una criminalità radicata, ramificata, che condiziona la vita delle persone. Fare il giornalista in alcuni luoghi è pericoloso. Perchè se solo si osa rompere il muro di omertà, si finisce male. A causa delle verità che scrive, Anabel Hernàndez è costretta a vivere sotto scorta. In Calabria ci sono colleghi giovanissimi che raccontano quotidianamente la 'ndrangheta, le storie dei preti che resistono e di chi cede. Vivono con il fiato sul collo".
Nel Messico di Anabel Hernàndez e Diego Enrique Osorno, nella Calabria di Michele Albanese e di Giovanni Tizian, nelle terre di tanti cronisti coraggiosi che vengono intimiditi e a volte uccisi e fatti sparire. Perchè la mafia, anzi, le mafie sono ovunque. Anche nei luoghi, nelle città che soltanto a un occhio distratto possono sembrare delle isole felici, delle oasi di tranquillità e legalità.
Carlo Muscatello
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