«No, ”Marika” non la canto. Dopo i fatti dell’11 marzo in Spagna ho capito che non era il caso. Anche se, ripeto, non si tratta di una canzone politica, ma solo del dramma di una giovane donna, con i suoi ricordi, le sue sensazioni, la sua anima...».
Roberto Vecchioni è da qualche settimana in tour (domani alle 21 al Rossetti di Trieste, mercoledì al Nuovo di Udine), e quella contestata canzone, sulla storia di una terrorista palestinese, compresa nel nuovo disco «Rotary Club of Malindi», ha fatto in tempo a presentarla in concerto solo un paio di volte («è stata accolta anche abbastanza bene...»). Poi a Milano c’è stata anche la contestazione della comunità ebraica, e il professore ha capito che era meglio riporla nel cassetto.
«Sapevo che era difficile - spiega il cantautore milanese - proporre una canzone di disperazione terroristica in un momento come questo. Ma mi sembrava fosse chiaro che con quei versi io non parteggio per nessuno, tantomeno per chi compie un atto terroristico. È solo la storia di questa donna, della sua disperazione, divisa com’è fra la voglia di vivere e l’amore per la sua terra, rappresentato dai suoi compagni che la incitano a quel gesto terribile. Ma forse è vero: mentre certi fatti accadono, l’unica scelta possibile è quella del silenzio».
Il concerto?
«Acustico, emotivo, spero emozionante. È uno spettacolo sul valore della parola, in cui come al solito parlo molto. Le canzoni del nuovo disco le faccio quasi tutte, poi ci sono i classici che non possono mancare, e una serie di brani che ho riscoperto da un po’ di tempo: ”Tommy”, ”Gli anni”, ”L’uomo che si gioca il cielo a dadi”...».
Il disco?
«Il titolo nasce dall’immagine che ho fatto riprodurre in copertina: un’incredibile fermata d’autobus che ho visto in Kenya, con quella scritta faceva a pugni con la realtà fatiscente che vi stava attorno, con la povera gente del luogo che aspettava l’autobus, con il degrado della zona...».
Continui.
«La forbice fra il ricco mondo occidentale e la povertà del terzo mondo si è purtroppo allargata negli ultimi anni. L’Occidente sta vivendo una sorta di deflagrazione interna: abbiamo perso il senso dei valori, dell’amicizia, delle parole, dell’amore vero, che è innanzitutto l’amore verso gli altri.
E in Africa?
«La prima volta che ci sono andato mi sono sentito una piccola banalità di questo Occidente senza più anima. Vivendo per dei periodi laggiù, viaggiando, parlando con le persone, mi sono accorto di nuovo dell’importanza delle cose che contano. Ho riso delle mie paturnie occidentali di uomo senza più voglie né stimoli. Diciamo che ho quasi rifatto amicizia con il mio mondo e il mio tempo».
Trieste?
«Ci torno sempre volentieri. Davvero. Ha quel fascino particolare delle capitali, e capitale Trieste lo è sempre stata anche senza esserlo, a metà strada fra Oriente e Occidente. E poi il mare, le donne, l’intelligenza, l’umorismo...».
Vecchioni domani dovrebbe partire con «Le lettere d’amore». Con lui, sul palco, Maurizio Porto (basso), Iarin Munari (batteria), Massimo Germini e Fabio Moretti (chitarre), Ilaria Biagini (tastiere e cori), Vincenzo Murè (piano) e Zita Petho (violino).
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