giovedì 1 aprile 2004

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Ve la ricordate «La descrizione di un attimo», dei Tiromancino? Grande canzone, che qualche anno fa regalò la luce dei riflettori al gruppo romano. Ebbene, come gli appassionati già sanno, quel brano era opera di Riccardo Sinigallia, che con la band del cantante Federico Zampaglione condivise anche un secondo posto a Sanremo Giovani del 2000.
«Tutta questa storia nasce nel ’99 - ricorda Sinigallia, il cui tour fa tappa domani sera alle 21 al Teatro Miela di Trieste -, io stavo già lavorando a un disco mio, quando Francesco Zampaglione, fratello di Federico, mi persuade ad aiutare il progetto Tiromancino che era praticamente in via di estinzione. Nasce così "La descrizione di un attimo", arriva il successo, dopo il quale il gruppo però nel 2001 si spacca».
Ma allora è vero che tenere assieme un gruppo è sempre più difficile...
«Forse, anche se tanti gruppi ci sono, lavorano e a volte resistono. Nel nostro caso c’erano delle divergenze profonde negli intenti e la spaccatura fu insanabile».
Una spaccatura anche familiare...
«Sì, Laura Arzilli e Francesco Zampaglione hanno continuato a lavorare con me, in questo disco intitolato col mio nome e cognome e con questo tour che ora arriva anche a Trieste, dove suono per la prima volta».
Di lei hanno detto che è uno dei «nuovi cantautori»...
«Mah, la cosa mi fa piacere. Le nuove leve ci sono, anche se è sempre più difficile emergere. A Roma, per esempio, c’è un grande fermento sulla canzone e sulla scena elettronica. È chiaro che bisogna cercare in nuove direzioni, non bisogna cercare sempre il nuovo De Gregori. Anche perchè De Gregori c’è già stato, c’è già, e ha un ruolo importante nella scena musicale italiana».
La nuova canzone deve fare i conti con l’elettronica, con l’hip hop...
«Certo, sono fenomeni da cui non si può prescindere. Le macchine hanno cambiato le nostre abitudini, abitudini meccaniche ma anche intellettuali. Le nuove generazioni sono cresciute col computer: se ne parla male, ma non va dimenticato che dà enormi possibilità anche a chi fa musica».
In questi anni c’è stato però un abuso...
«Certo, ma le macchine non sono buone o cattive: dipende da come si usano. Io mi sforzo di coniugare le indubbie potenzialità che offrono con la nostra tradizione acustica, ma anche con quella elettrica del rock».
Lei con che musica è cresciuto?
«Vengo fuori da un ambiente un po’ particolare. Sono nato a Roma nel ’70, mio padre era chitarrista al Piper ed è lui che mi ha insegnato i primi giri di accordi alla chitarra, mia madre era discografica alla Durium e questo suo lavoro mi ha permesso di vedere da vicino, o almeno intravedere, artisti come D.D. Jackson, Village People, Donna Summer, Roberta Kelly, Boney'M...».
Tutta roba internazionale...
«Sì, da ragazzino a me piacevano Ac/Dc e Police, ma alla radio sentivo Tozzi e tutti i cantautori: mi piacevano Vasco, Battiato, De Gregori, De Andrè... Ho cominciato a scrivere canzoni a dodici anni, a suonare in giro a diciassette, e poi fra l’87 e l’89 ero fra il pubblico di ”Doc”, il mitico programma di Arbore...».
Poi, il salto da quasi professionista...
«Sì, i primi gruppetti (dove conobbi Francesco Zampaglione) e poi il lavoro da produttore per Niccolò Fabi, Max Gazzè, Marina Rei; alla Virgin come direttore artistico; la collaborazione con Frankie Hi Nrg...»
Fino a quella chiamata dei Tiromancino...
«Sì, ma ora mi sembra che si riparta nella direzione giusta...»

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