Un musicista sul confine? Sicuramente Goran Bregovic. La scelta di chiamare l’artista nato nel 1950 a Sarajevo da madre serba e padre croato a suonare, domani alle 21, sulla piazza della Transalpina, nell’ambito dei festeggiamenti per l’allargamento a Est dell’Unione Europea, pare dunque quanto mai azzeccata. Forse nessuno meglio di lui e della sua Weddings and Funerals Band (l’orchestra nata per suonare ai matrimoni e ai funerali...) può rappresentare l’assurdità dei confini, degli steccati che tengono separate le genti, ma di certo non possono separare la musica, la cultura, un patrimonio di storia condiviso.
Lui, il multietnico Goran, con le sue origini miste e le sue radici nei Balcani, lo sa. Lo sapeva quando negli anni Settanta veniva a Trieste, come tutti i suoi coetanei, a inseguire il sogno dell’Occidente. E anche una chitarra elettrica odorava di libertà.
Figlio di una terra dove si incrociano varie culture, varie etnie, varie religioni, ha conosciuto il primo successo internazionale firmando le colonne sonore dei film di un suo illustre concittadino, Emir Kusturica. Film come «Underground» e «Il tempo dei gitani» hanno così risuonato di folk balcanico, di suoni tzigani, di fanfare macedoni, di rock risciacquato nel Mare Adriatico.
Anche se il giovane Goran nel suo paese era una star, oltre che studente di filofofia, già da giovanissimo, con i suoi White Button (Bijelo Dugme): tredici album e sei milioni di copie vendute. «Il rock - ha sempre detto Bregovic - aveva all'epoca un ruolo fondamentale nella nostra vita. Era l'unica possibilità per poter esprimere pubblicamente il nostro malcontento senza rischiare di finire in galera, o quasi».
Quando scoppia la guerra nell’ex Jugoslavia se ne va. Prima negli Stati Uniti, con Kusturica che doveva girare un suo film. Poi a Parigi, dove tuttora vive gran parte del suo tempo, quando non è a Belgrado o in tournèe. A incantare le platee occidentali con la sua macedonia sonora a base di jazz e suggestioni turche, Bela Bartok e vocalità bulgare, tanghi e ritmi folk slavi, polifonie sacre ortodosse e moderne sonorità pop.
Recentemente, l’artista ha esplorato territori nuovi. Ha infatti reinventato la «Carmen» - che nella sua versione, vista recentemente anche a Udine, è una «Karmen» - restituendola alla storia vera del suo popolo, i Gitani. E proprio confrontandosi con il dramma di Bizet, oltre che abilissimo contaminatore di generi, Bregovic si è dimostrato artista versatile e originalissimo, capace di esplorare - e rileggere - la tradizione classica senza timori reverenziali di sorta.
Dal vivo, e quindi anche a Gorizia, Bregovic ha quasi sempre al suo fianco l’Orchestra di Belgrado, le Voci Bulgare con i loro costumi folkloristici, il direttore-percussionista Ognjen Radivojevic e la Weddings and Funerals Band. Di cui dice «Loro suonano davvero ai matrimoni e ai funerali. È la tradizione ortodossa: dopo il rito funebre si mangia, si beve e per un po' il dolore lascia spazio alla musica...».
Stavolta, nella piazza che ieri divideva e da domani unirà Gorizia e Nova Gorica, le note di «Kalasnjikov», «Ederlezi», «Mesecina» festeggeranno la caduta dell’ultimo muro d’Europa.
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