giovedì 31 luglio 2003

GIOVANNA MARINI AL MIELA

Le radici, la memoria, la democrazia. Ascoltare Giovanna Marini che
canta, suona la chitarra, racconta le sue storie è sempre un’esperienza
bella e istruttiva ed emozionante. Che ha a che fare con la passione civile,
con la tradizione orale e l’attenzione alle classi subalterne, con i canti
contadini mischiati agli elementi colti. In tempi orfani della ragione e
dunque bui come quelli che viviamo, ascoltarla diventa forse qualcosa di
più.
Se ne sono accorti i duecento fortunati che l’altra sera, al Teatro Miela,
sono incappati nell’oasi di intelligenza e buon gusto rappresentata oggi in
Italia dall’artista romana. Cui il successo del disco con Francesco De
Gregori ha regalato finalmente (una parte di) quella popolarità che merita e
che già da tempo le arride in Francia.
La signora (classe ’37: complimenti...) attacca dicendo che in questi giorni
l’è tornata in mente una cosuccia che aveva scritto nel ’66, di ritorno da
due anni passati a Boston e dintorni, per rispondere a tutti quelli che le
chiedevano «ma com’è l’America?». Parole e giudizi che in seguito le erano
sembrati duri, ma che in queste ore ha risentito attuali. Ecco allora «Vi
racconto l'America», venti minuti di racconto musicato, una delle sue prime
«ballate lunghe» che poi sarebbero diventate una forma musicale tipica della
sua produzione. In cui alterna approcci vocali e strumentali di diversa
matrice: la filastrocca popolare, il recitativo operistico, la canzone di
protesta contro gli Stati Uniti, già allora trionfo di conformismo e
degrado, «gabbia maledetta, indistruttibile, perfetta...», in cui «non c'è
niente da salvare».
Neutralizzando le verbose disquisizioni degli esperti di turno, che vengono
inopportunamente ammessi al microfono, la Marini riparte dall’epopea del
’64: l’incontro con gli etnomusicologi Roberto Leydi (scomparso un mese fa)
e Gianni Bosio, il Nuovo Canzoniere Italiano e Cantacronache, il canto
popolare che si sposa alla storia sociale cantata con l’obbiettivo di far
arrivare il risultato al grande pubblico. Che è poi quello che è stato fatto
con «Il fischio del vapore», il disco pensato e realizzato l’anno scorso con
De Gregori.
Un canto abruzzese «finto» (di quelli che s’inventava per colpire
l’immaginazione di Leydi...), poi una cantata «vera» degli zingari abruzzesi
(con la voce di Francesca Breschi, una delle componenti del suo quartetto
vocale), ma soprattutto quella «Bella ciao» che, prima di diventare inno dei
partigiani, nella versione originaria era il canto delle mondine al lavoro.
E torna anche il ricordo dello spettacolo «Bella ciao», presentato nel ’64
al Festival dei Due Mondi di Spoleto, con Giovanna Daffini, e le urla, le
proteste, i cori contrapposti...
Arriva anche la prima delle due perle dello spettacolo: «Persi le forze mie
persi l'ingegno, la morte mi è venuta a visitare, e leva le gambe tue da
questo regno, persi le forze mie persi l'ingegno...». «Lamento per la morte
di Pasolini», scritta dalla Marini nel dicembre del ’75, è ovviamente
dedicata alla tragica morte del poeta e regista friulano, assassinato la
notte tra il primo e il 2 novembre ’75, sul lungomare di Ostia. Il testo
prende lo spunto da un canto religioso extraliturgico, ed è costruito sul
modulo musicale di una Passione contadina della tradizione abruzzese. Ancora
commovente, a ogni nuovo ascolto.
C’è ancora tempo per una ballata da «reporter musicale di strada», sulla
Milano delle pistolettate in piazza del ’77. E per due brani nuovi, che
verranno inseriti nel prossimo disco della cantante, prodotto da De Gregori:
«La torre di Babele», sul mondo prima e dopo il crollo delle Torri Gemelle,
e «Io vorrei che Dio tornasse a essere il Dio degli eserciti». E per il
primo bis, «L’attentato a Togliatti», la cui riscoperta da parte di De
Gregori ha contribuito all’operazione del disco citato.
Ma per poter godere della seconda perla della serata, il pubblico triestino
si deve far sentire. Arriva allora finalmente, a richiesta, in chiusura, «I
treni per Reggio Calabria». L’incalzante ed emozionante ballata è la
cronistoria della grande manifestazione popolare contro la rivolta fascista
di Ciccio Franco per «Reggio capoluogo». Era l'ottobre del ’72, quando
quarantamila operai arrivarono da tutta Italia nella città dello stretto per
riaffermare i valori della democrazia. Storia d’Italia, anche questa.

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