venerdì 10 dicembre 2004

GRANDE FRATELLO

È stata l’edizione più volgare, più brutta, più inutile. Il regno del

cattivo gusto, dell’ignoranza, delle urla beduine, delle scorregge, dei

ragazzotti e delle fanciulle drammaticamente senz’arte né parte,

nullapensanti e nullafacenti, disposti a qualunque nefandezza pur di

ottenere uno strapuntino nel dorato (?) mondo della televisione e dello

spettacolo. Sapendo che all’uscita dalla cosiddetta casa, se va male si

campa allegramente per un paio d’anni fra comparsate in tivù e ospitate

nelle discoteche, e se va bene si può ambire anche a qualcosa di più. Com’è

successo a Taricone, a Marina La Rosa, a Filippo Nardi...

Quattro anni e tre mesi dopo il debutto, per il quale si spesero fiumi di

inchiostro, il Grande Fratello si conferma uno degli episodi culturalmente -

e forse eticamente - più bassi della storia della televisione. Trash allo

stato puro (altro che l’astuta Lecciso...), che purtroppo ha fatto scuola,

visto che Rai-Mediaset si è «grandefratellizzata». Fra isole dei famosi,

fattorie, campioni e «music farm», quella che si è ormai affermata è la

sindrome del buco della serratura coniugata al quarto d’ora di celebrità che

Andy Warhol garantiva a tutti. Soprattutto a chi si trova a stazionare - in

questo caso per giornate intere - dinanzi a una telecamera.

Ma nella triste Italia berlusconiana del 2004, terra di furbi e mezze

calzette, di dittatura televisiva e degradate periferie urbane, vale sempre

più il detto di quel tale che avvertiva: una volta toccato il fondo, a volte

si risale, ma può capitare anche di dover scavare... Come spiegare,

altrimenti, i personaggi e le scene di questa edizione? Ne basti una. Quando

gli organizzatori decidono di squalificare seduta stante un poveretto che

fino a quel momento aveva brillato soprattutto per le ripetute e disinvolte

flatulenze, perchè aveva pensato bene di infiorettare il suo pensiero

debolissimo con un bel bestemmione in diretta televisiva, nella casa si sono

scatenate scene accettabili solo da parte di chi ha perso un figlio in

guerra: lacrime, singhiozzi, dolore, incredulità, implorazioni a

ripensarci...

Che dire? Forse, al di là delle battute sulle braccia rubate

all’agricoltura, certuni dovrebbero per davvero esser mandati a lavorare nei

campi, o in miniera, o dovunque la realtà non sia quella televisiva.

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