L’onda calabra sta per arrivare. Anzi, è già arrivata. E vi sommergerà tutti. Oggi alle 18.30, al caffè letterario Knulp (via Madonna del Mare 7), il Parto delle Nuvole Pesanti presenta il nuovo album intitolato «Il parto», in uno di quegli incontri con il pubblico che da un po’ di tempo si chiamano «show case».
Il gruppo calabrese (all’inizio erano in undici, poi in nove, ora in quattro ma certe volte - come nella foto qui sotto - anche in tre...) è considerato una delle realtà più interessanti della cosiddetta scena etno-rock italiana. Colti e popolari al tempo stesso.
«Ci siamo conosciuti a Bologna nel ’90 - spiega il cantante Peppe Voltarelli - dove tutti ci eravamo trasferiti dalla Calabria per motivi di studio: chi al Dams, chi a Giurisprudenza, chi in altre facoltà... Abbiamo cominciato a fare musica assieme per il gusto di mescolare il rock e la nostra tradizione popolare calabrese. All’inizio, di fronte alla nostra proposta, parlavano di ”taranta-punk”: etichetta usata soprattutto quando nel ’94 è uscito il nostro primo album...».
Prosegue Voltarelli: «Eravamo essenzialmente un collettivo di studenti fuorisede, cresciuti nell’orgoglio del nostro dialetto, delle nostre radici: materiali da trattare sempre con grande ironia, senza restare legati a un discorso di genere. L’idea era da subito quella di un gruppo e di un progetto aperto, anche con riferimento all’organico che col passare degli anni è mutato. Una sorta di allargo-stringo a seconda delle esigenze: un po’ come le nuvole, inafferrabili, con la voglia di non lasciarsi ingabbiare...».
Un momento importante, per il gruppo calabrese, sono stati l’incontro e la collaborazione con Claudio Lolli, di cui hanno rifatto lo storico disco del ’77 «Ho visto anche degli zingari felici». «La sollecitazione - spiega Voltarelli - è arrivata dalla nostra casa discografica, che è anche la sua. Lavorare con Lolli ci ha fatto prendere una sorta di ”cittadinanza bolognese” ad honorem. Ci ha sorpreso perchè è una persona semplice, schietta, che continua a fare il suo lavoro di insegnante in un liceo di Casalecchio. Su di lui imperano i luoghi comuni, che lo vogliono triste, schivo, noioso. Invece è una persona solare, che scherza e ride e fa pure un sacco di battute. Fra lui e noi c’è quasi una generazione di differenza, ma certi temi cantati dei suoi dischi (la piazza, l’abbondanza, l’idea dei fuorisede nella Bologna del ’77...) li abbiamo ritrovati come nostri, oltre che attualissimi...».
L’anno scorso, il gruppo ha realizzato un documentario (anzi, un ”rockumentary”...) sull’emigrazione calabrese in Germania, con la regia di Giuseppe Gagliardi, cosentino che vive a Roma. Un lavoro che è stato anche premiato al Torino Film Festival.
«”Doichlanda” è il modo in cui gli emigrati calabresi - spiega ancora il cantante del Parto delle Nuvole Pesanti - usano chiamare la Germania. Un termine che indica anche un luogo che offre nuove possibilità di lavoro, un luogo divenuto per molti anni meta delle migrazioni calabresi. Noi abbiamo realizzato un viaggio, che alterna le immagini della nostra tournèe in Germania e le interviste ai nostri emigranti lassù. Nelle case, nei ristoranti calabresi di Germania si dipana un viaggio che racconta i cambiamenti, le trasformazioni e le contraddizioni di una dinamica culturale per noi di estremo interesse».
«Davanti alla telecamera, accompagnati dalla nostra musica, gli emigrati raccontano la loro vita lontano dalla terra di origine, i loro problemi di inserimento e anche i loro successi, le loro soddisfazioni. Raccontano di una Calabria mai dimenticata, che ancora oggi rivive nella mente e nel cuore. E anche nei piatti della cucina tedesca rivisitata alla luce della nostra tradizione culinaria...».
«Onda calabra» è il brano che chiude il «road movie». E che apre il disco che viene presentato oggi a Trieste. A febbraio la band riparte, stavolta per l’Argentina, a riannodare altre storie di emigrazione calabrese...
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