domenica 7 marzo 2004

Le note di �Quando q...

Le note di «Quando quando quando» rilette dalla grande orchestra,
scenografia e balletto in perfetto stile Las Vegas (o Nova Gorica, a seconda
dei gusti e dei riferimenti geografici...), luci ed effetti da pretenziosa
discoteca padana, ovviamente i fiori. E poi Simona Ventura, vestito
argentato fino ai piedi e crocefisso in bella vista sul generoso décolleté,
che sbuca leggermente emozionata fra i ballerini.


È cominciato così, ieri sera, solita diretta su Raiuno (per fortuna meno
chilometrica del solito...), il 54.o Festival di Sanremo. Quello di Tony
Renis, delle polemiche, dei giovani e dei nomi nuovi, del boicottaggio da
parte della maggior parte dell’industria discografica italiana, del
Dopofestival trasformato nell’ennesimo «Porta a porta» di cardinal Bruno
Vespa, di Berlusconi-viene-non-viene, telefona-non-telefona. Quello del
dopoBaudo.


Due parole di circostanza e la Ventura introduce Gene Gnocchi: subito
allusioni alle due punte amate da Berlusconi, ai litigi tra Renis e Simona.
«Avete sentito che io e Tony abbiamo avuto diverse vedute, ma ora è tutto a
posto», dice lei. Lui, nel ruolo di «garante di Renis», sibila che «è ora di
finirla con le dicerie su Tony Renis: non è vero che a Hollywood non conosce
nessuno, ho parlato con Will Coyote e mi ha detto che sabato verrà l'orso
Yoghi ma senza Bubu...».


Il buon umore finisce quando arrivano i cantanti. Apre Dj Francesco, figlio
di Robi Facchinetti dei Pooh, amato dai bambini e malsopportato da chi è
entrato nell’età della ragione (almeno musicale), protagonista del
tormentone estivo «La canzone del capitano». Ascoltando la sua «Era
bellissimo», vien da chiedersi: tutta qui la rivoluzione musicale di Renis?
Basta abbassare l’età dei concorrenti per trasformare il Festival in una
vetrina della buona musica? A giudicare da questa, e da altre canzoni
sentite ieri sera, ovviamente no.


Il tasso qualitativo è basso. Un giovanilismo esasperato, di maniera, sembra
aver sostituito lo stile sanremese che peraltro nessuno rimpiange. Dj
Francesco peggiora la situazione chiudendo con una citazione: «Che cosa c’è,
c’è che mi sono innamorato di te...». Roba che Gino Paoli potrebbe anche
ripensarci in extremis, e non presentarsi (come invece farà, in chiusura di
prima serata) a ritirare il premio alla carriera, prima di andare al
Controfestival di Mantova...


Siparietto con Raoul Bova (unico bello in assenza di George Clooney) nei
panni di Ultimo, l’eroe della lotta alla mafia. Parla in un siciliano
approssimativo, arrivano altre stilettate al picciotto Renis. Rincara la
dose Gnocchi con un filmato dei suoi. Ancora Sicilia con l’inutile cantante
Veruska. Canta «Un angelo legato a un palo» e si stenta a comprendere il
senso della sua presenza al Festival. Molto meglio Paola Cortellesi, che
regala la prima risata, dicendo alla Ventura: «Non scherzare e tira fuori
Pippo Baudo, non puoi presentare il Festival vestita così, mettiti una
cravatta, fatti un riporto...».


Ancora l’attrice: «Per presentare il Festival bisogna essere un uomo. Che
c’entrano Carrà e Loretta Goggi: quelle se l’erano guadagnato, prima avevano
fatto cose importanti, tu che hai fatto, l’Isola dei Famosi, con Pappalardo,
qui mica c’è Pappalardo...». Più avanti, travestita da Cotogna Cutugna,
chiederà a Simona: «Ti posso chiamare "mona"...?». Gag gradita nel Nordest,
e ripresa poi anche da Gnocchi.


Torna la musica con Andrea Mingardi. La sua «È la musica», con l’apporto di
quel che resta dei Blues Brothers, è un omaggio alla musica nera: brano
energico, divertente, malato di rhythm’n’blues. Il livello qualitativo
rimane buono col catanese Mario Venuti (ex Denovo): la sua «Crudele» è
elegante, ha una melodia avvolgente. Quasi un piccolo capolavoro, rispetto
agli apripista... Un doveroso ricordo di Sandro Ciotti che non c’è più (è il
primo Festival senza di lui, che ne aveva seguiti quarantatre...) e arriva
Neffa, indicato come un favorito della vigilia. Canta «Le ore piccole»,
quadretto swing a tinte lievi, garbato, dignitoso, che però non sembra
all’altezza dei suoi precedenti successi.


La situazione peggiora con Paolo Meneguzzi: «Guardami negli occhi» strizza
l’occhio a Tiziano Ferro, ma rimane a distanza di sicurezza dall’originale.
Idem per i DB Boulevard, nobilitati dall’ex bassista dei Rolling Stones,
Bill Wyman, che però non riesce a sollevare le sorti della loro «Ballerà»,
poprock esile assai.
Completano la serata l’incerto Stefano Picchi («Generale Kamikaze»), lo
spigliato Danny Losito con le tre Las Ketchup («Single»), il serioso Marco
Masini («L’uomo volante»), lo zuccheroso Morris Albert con Mietta («Cuore»).
Ma anche il collegamento coi soldati italiani a Sarajevo (con tanto di
fotomodella-soldatessa slovena), la compagnia teatrale francese Le Cirque du
Soleil, l’hip hop dei Black Eyed Peas. E uno strepitoso Elton John rifatto
da Maurizio Crozza, che saluta la Ventura con un «Hello Baudo»... Poi, dopo
Gino Paoli, passata mezzanotte, spazio a Vespa.

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