sabato 7 febbraio 2004

All'età di 64 anni è...

All'età di 64 anni è morto a Milano Ricky Maiocchi, che negli anni Sessanta portò al successo con i Camaleonti ma anche come solista numerose canzoni. Da qualche tempo era ammalato, l’altro ieri è stato colto da una crisi ed è morto al Policlinico di Milano assistito dalla moglie Rosanna.

Era il ’66. Dall’Inghilterra arrivava l’eco del successo planetario di Beatles e Rolling Stones. Che da noi aveva generato il fenomeno Rokes, il cosiddetto beat italiano, le cover (anche se allora non si chiamavano ancora così...) di successi inglesi e americani cantati nella nostra lingua. Quell’anno Mogol e Battisti scrissero per Ricky Maiocchi «Uno in più», che divenne - oltre che un immediato, grande successo - una sorta di inno dei giovani dell’epoca. E che rimane tuttora la canzone più rappresentativa della sua carriera.
Che però non si è limitata a quel brano. Milanese, classe 1940, Riccardo Maiocchi debutta poco più che adolescente suonando la chitarra e cantando al Santa Tecla (storico locale meneghino) e nelle balere lombarde e piemontesi. Nel ’64 debutto discografico con «La tua vera personalità», che però passa quasi inosservata. L’anno dopo va al Cantagiro con «Non dite a mia madre», versione italiana della leggendaria «The house of the rising sun». Lì incontra i Camaleonti, che si erano appena formati e cercavano un cantante. Entra nell’organico ma vi rimane poco, sostituito da Tonino Cripezzi. Fa in tempo comunque a firmare due successi: «Sha-la-la-la-la» (versione del quasi omonimo brano degli Small Faces) e «Chiedi chiedi».
Un anno dopo la citata affermazione da solista con «Uno in più», Maiocchi è a Sanremo - in coppia con Marianne Faithfull, allora fidanzata di Mick Jagger - con un altro brano di Mogol e Battisti, «C’è chi spera»: non arriva in finale ma incontra ancora il favore dei giovanissimi. Non c’è due senza tre: nel ’67, sempre firmato dalla «premiata ditta», arriva il brano «Prendi fra le mani la testa». In quegli anni conosce a Londra anche Ritchie Blackmore dei Deep Purple e Jimi Hendrix.
Fino a quel momento il «capellone» Maiocchi è considerato quasi un uomo-simbolo della contestazione giovanile allora nascente. Mal consigliato, e forse soggetto al ricatto di chi gli garantisce ingaggi discografici e di serate dal vivo, accetta una specie di «svolta melodica». Prima con una discutibile versione di «Ma l’amore no» (disertata sia dai giovani che dal pubblico adulto) e poi, nel ’68, con un brano intitolato «Il re della solitudine».
A quel punto la storia di Ricky Maiocchi può considerarsi conclusa. Negli anni Settanta incide altri dischi che non lasciano traccia. Negli anni Ottanta lo ritroviamo in qualche programma televisivo sul revival degli anni Sessanta. Poi eviterà anche quelli. Fino alla malattia che se l’è portato via ancora giovane.

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