sabato 21 febbraio 2004

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Si presenta così: «Mi chiamo Michele Salvemini e sono del Sud, di Molfetta per la precisione, e dal dialetto del mio paese ho preso spunto per il mio nome d'arte: Caparezza in molfettese significa infatti "testa riccia"...».
Il panorama della musica italiana in fondo è strano. Se il suo elettroencefalogramma non è ancora completamente piatto, popolato da cantautori che scrivono e cantano da oltre trent’anni sempre la stessa canzone (a volte più riuscita, a volte meno riuscita), beh, lo si deve proprio a personaggi folli e in qualche modo geniali come Caparezza, il cui tour fa tappa domani alle 21 al Deposito Giordani di Pordenone.
Caparezza è la prima, grande novità italiana del 2004. Che poi, novità... Nel ’97 con il nome di Miki Mix partecipò a un Sanremo Giovani: un insulso spaghetti-rap che non gli spalancò le porte del sole. E poi questo suo secondo disco, «Verità supposte», con il tormentone «Fuori dal tunnel», in realtà è uscito nel giugno dell’anno scorso: nei primi mesi ha venduto diecimila copie con il passaparola, è esploso solo a cavallo fra l’anno vecchio e l’anno nuovo, e ora è a quota sessantamila.
Ma andiamo per ordine. «Dopo Sanremo ero destinato a essere dimenticato in fretta - racconta Caparezza, classe 1973 - come peraltro il novanta per cento di quelli che vanno al Festival. La mia unica convinzione era di poter arrivare un giorno a fare ciò che volevo. Certi figuri della discografia mi avevano insegnato la politica del compromesso: un giorno potrai fare quello che vuoi, dicevano...».
Il giorno in cui poter fare quello che voleva, Michele Salvemini non l’ha aspettato nella Milano dove si era trasferito inizialmente per studiare da pubblicitario e dove un giorno si era trovato con un microfono in mano, introdotto nelle anticamere dello show business. No, se l’è andato a cercare nella sua Molfetta, dove per due anni ha fatto altro che credere ai discografici: si è fatto crescere i capelli (la «capa rezza»...), ha lavorato come animatorei nei villaggi turistici, continuando però sempre a scrivere canzoni.
«Il mio percorso artistico - spiega - si divide in tre fasi: quella inconsapevole, nella quale realizzavo dei demo ma li tenevo nascosti, quella consapevole, in cui ho fatto girare questi demo e sono finito a Sanremo come Miki Mix, quella del riposo che è stato anche frustrazione. Me ne ero tornato al paese ma non volevo lasciare al pubblico quell’immagine che non era la mia...».
«Volevo essere libero, libero di comporre, di esprimermi. La libertà è oggi la mia forza e nel contempo la mia debolezza, perché mi spinge al di fuori dei generi, delle correnti, dei movimenti. Io fatico a stare dietro alle cose, a comprenderle. È per questo che scrivo, per fissare dei punti a cui ancorarmi, per non perdermi. Tutto ciò che faccio mi rappresenta, soprattutto gli errori commessi in passato, poiché da questi proviene la spinta che mi incoraggia quotidianamente».
Ecco allora nel ’99 i demo «Ricomincio da capa» e «Zappa» («inteso come attrezzo - precisa - Zappa il musicista, il genio incontrastato e inarrivabile, l’ho approfondito solo recentemente...»), la trasformazione in Caparezza, il contratto con la Extra Labels che pubblica il suo primo album, intitolato «?!». Il resto è storia di queste ultime settimane, con il secondo album esploso... a scoppio ritardato.
«L’album - dice Caparezza - è una raccolta di paradossi. E la mia speranza è quella di non finire vittima proprio di questi paradossi. Mi spiego. In ”Fuori dal tunnel” critico il divertimento a tutti i costi, dico ”quando esco di casa e mi annoio, sono molto contento...”. Ecco, io critico certo modo di divertirsi, certi ambienti, che poi sono quelli che hanno spinto il disco e l’hanno portato al successo. Forse equivocandone, o solo non comprendendone il significato. A volte mi sento come l’autore di una canzone che viene usata al congresso di un partito di tutt’altra parte politica...».
«Lo spettacolo che stiamo portando in giro - conclude Caparezza -, fra l’altro con musicisti tutti di Molfetta, è molto teatrale, molto energico. C’è molto Sud nella mia musica, in me stesso. Io vedo tutto dall’osservatorio di Molfetta, dove sono tornato a vivere: una cittadina di sessantamila abitanti, dalla quale è più facile notare i paradossi...».

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