mercoledì 25 febbraio 2004

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L’Irlanda delle origini, poi i Balcani, il Maghreb, il Sudafrica, ora il Chiapas e il Guatemala. I Modena City Ramblers - che venerdì alle 21.30 suonano al Deposito Giordani, a Pordenone - proseguono il loro viaggio che è anche un percorso musicale, e viceversa. «Viva la vida, muera la muerte» è il titolo del loro nuovo album.
«Quel titolo - spiega il cantante e chitarrista Stefano ”Cisco” Bellotti - è la frase con cui i rappresentanti delle comunità zapatiste del Chiapas chiudevano, un anno fa, quando eravamo laggiù, i loro formali e serissimi discorsi pubblici di benvenuto nei nostri riguardi. Una rivendicazione che dice già tutto: si nasce, si lavora e si lotta per la vita».
È un disco zapatista?
«No. A noi piace pensare che i cambiamenti possano avvenire senza rivoluzioni violente. Lì abbiamo imparato che al di là dei discorsi, delle professioni di militanza, degli slogan, contano i fatti e le utopie che hanno contribuito a realizzarli. Solo mettendosi in gioco per migliorare un poco la vita (propria e di chi vive con noi) si riuscirà a sconfiggere, per così dire, la morte».
Dall’Irlanda al Chiapas.
«Seguendo sempre il nostro percorso. Nel ’91 alcuni di noi erano delusi dalla propria storia musicale. In Irlanda avevamo scoperto un nuovo mondo, un modello di vita e di divertimento lontano anni luce dal nostro: musica acustica suonata ovunque, per strada, nei pub, di giorno e di notte... Lì c’erano i Dublin City Ramblers, i Cork City Ramblers... Al ritorno, noi abbiamo fatto i Modena City Ramblers».
Molti concerti, all’inizio...
«L’intensa attività dal vivo è sempre rimasta una costante. Il primo album arrivò nel ’94, ”Riportando tutto a casa”, che seguì all’ormai storico demotape ”Combat folk”, etichetta che è stata usata spesso per definirci: mischiavamo folk, appunto, a punk e canti della Resistenza italiana. Siamo sempre stati fieri delle nostre origini, fieri di portare la nostra emilianità, la nostra identità meticcia, mezza irlandese e mezza emiliana, in giro per il mondo».
Nell’Italia del 2004 vivete bene?
«Diciamo che si potrebbe star meglio. Abbiamo fiducia che, una volta toccato il fondo, non si possa far altro che risalire, anche se il vecchio Freak Antoni diceva che a quel punto c’è il rischio anche di doversi mettere a scavare... Noi siamo un gruppo resistente. Abbiamo sempre fatto quello in cui crediamo».
Sanremo?
«Ci hanno invitato un paio di volte, ma non ci andremo mai: è un baraccone ridicolo, sopravvalutato e al quale si dà troppa importanza. La vera musica italiana è altrove. E poi ogni anno, del Festival, non ricordi più di una o due canzoni. Abbiamo invece accettato di andare a Mantova, quando ci hanno spiegato che la rassegna non vuol essere soltanto un ControSanremo: saremo lì il 2 marzo, alla serata del Tora Tora Festival itinerante...».

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