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giovedì 13 febbraio 2014
BOMBINO mart 11-2 a trieste, teatro miela
«Della mia infanzia ad Agadez, nel Niger, ricordo la povertà. Mi ha allevato mia nonna. Avevamo davvero poco. Vivevamo con la paura del governo, la situazione per noi tuareg era molto difficile. Ma ricordo che allora Agadez era un posto florido per il turismo e per la nostra culura. Ho ricordi felici di quand’ero bambino e tentavo di guadagnare qualcosa con i turisti».
Parla Bombino, vero nome Omara Moctar, soprannominato il “Jimi Hendrix del deserto”, che domani alle 21 suona a Trieste al Teatro Miela, nell’ambito del “Nomad tour” già passato da Milano, Lecce e Firenze, e che toccherà giovedì Bologna, venerdì Siena e sabato Torino. Bombino è un berbero originario del Niger, persino Keith Richards è rimasto impressionato dalle sue doti chitarristiche.
«La prima musica che ho ascoltato - dice l’artista - è quella tradizionale, che la gente suonava al mio paese. Ho scoperto il rock verso i dieci o undici anni».
A quali usanze è legato?
«Indossare il turbante mi mantiene in contatto con le mie radici. Lo tendo sempre al collo, sia in scena che nella vita di tutti i giorni».
Il primo strumento?
«Un piccolo piano ricevuto in dono da mio zio. Già allora volevo suonare la chitarra, ma ero timido e non avevo il coraggio di dirlo. Finchè un mio amico non me ne ha data una».
Quando ha capito che la musica sarebbe stata la sua strada?
«Sapevo da sempre di avere un destino da musicista. Avrei anche potuto guidare un tir o fare lo chef o qualcos’altro. Ma nulla sarebbe stato importante per me e per la mia identità come la musica».
L’incontro più importante?
«Ron Wyman (il regista che lo ha scoperto mentre girava un documentario - ndr), perchè tramite lui ho poi incontrato le altre persone importanti per la mia vita e la mia carriera. Lui è il mio “papà americano”. Gli devo buona parte del mio successo».
I chitarristi che l’hanno più influenzata?
«Ovviamente Jimi Hendrix, il re».
Con Keith Richards com’è andata?
«Quando l’ho incontrato e ho suonato con lui non sapevo nemmeno chi fosse. Ed è stato un bene, perchè sarei stato emozionato e nervoso, se avessi saputo che era uno dei Rolling Stones».
Cosa l’ha colpita di più dell’Europa e degli Stati Uniti?
«Mi sembra ancora incredibile che la gente abbia delle mentalità, degli stili di vita così diversi nelle varie parti del mondo. Non capisco come la gente viva nei freddi inverni, perchè mandi gli anziani a vivere da soli da qualche parte, come faccia a camminare lasciando per strada la gente che ha fame. Dell’Occidente non capisco molte cose come queste».
Dove vive adesso?
«A Niamey, capitale del Niger. Ma viaggio molto».
Cosa suona in questo tour?
«Soprattutto le canzoni del mio nuovo album, ma anche miei brani precedenti e adattamenti di musiche tradizionali tuareg».
Conosce Trieste?
«No, ma mi hanno detto che è una bella città sul mare. E sono curioso di visitarla».
Bombino, astro nascente del “Tuareg blues” o “Desert blues”, è nato nel 1980 ad Agadez, Niger, nord dell’Africa. È un discendente dei Tuareg Ifoghas, tribù che lotta da secoli contro il colonialismo e l’imposizione dell’Islam più severo. Allievo di Haia Bebe, celebre chitarrista tuareg, ben presto entra a far parte della sua band. È lì che gli danno il soprannome di Bombino, semplice storpiatura dell’italiano “bambino”. “Group Bombino - Guitars from Agadez”, “Agadez” e “Nomad” sono i titoli dei suoi album.
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