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venerdì 28 febbraio 2014
SACRI CUORI stasera ven a trieste, teatro miela
Romagnoli di nascita ma apolidi per vocazione, innamorati di blues e folk, senza mai dimenticare le origini italiane che sanno di melodia. Spiegano così il nome che hanno scelto: «Sacri Cuori erano quelli appesi sopra i letti delle nostre nonne, in un’Italia che sognava di più. Sacri Cuori erano quelli nelle case di Nogales, in Messico, appena sotto il confine con l’Arizona...».
Noti in Italia soprattutto per aver firmato la colonna sonora del film “Zoran, il nipote scemo”, i Sacri Cuori - il cui tour fa tappa venerdì alle 21 a Trieste, al Teatro Miela - sono una band (ma loro preferiscono farsi chiamare “collettivo”) che suona molto in giro per il mondo: recentemente erano in Inghilterra, Grecia, Polonia, Bulgaria, ma hanno tenuto concerti anche in America, Australia, Argentina...
«Sì, suoniamo molto all’estero - dice Antonio Gramentieri, classe ’72, chitarrista e membro originario del gruppo - dove viene apprezzata la nostra sensibilità italiana, la melodia che comunque rappresenta le nostre radici. Fuori dall’Italia c’è un approccio più culturale alla musica, c’è più curiosità, e ciò ci ha permesso di coltivare una sorta di patriottismo musicale di ritorno».
Quando e come avete cominciato?
«Con il batterista Diego Sapignoli e il bassista Francesco Giampaoli lavoriamo assieme da tanti anni. Ma come Sacri Cuori, originariamente un trio, siamo nati nel 2009. E nel 2010 è uscito il nostro primo album, “Douglas & dawn”, registrato in Arizona, seguito due anni dopo da “Rosario”, entrambi i dischi realizzati con vari ospiti internazionali. Noi tre siamo romagnoli, gli altri che si sono via via aggiunti arrivano da mezza Italia».
Com’è che la Romagna sforna tanti musicisti?
«Fra balere e feste dell’Unità, c’è sempre stata una grande tradizione di orchestre, musica da ballo, musicisti professionisti. Da noi c’è un tessuto di base forte, la musica è la forma di intrattenimento più diffusa».
Ci spiega questa cosa del collettivo?
«È una forma di collaborazione presente in altre arti, l’ambizione è quella di creare una sorta di cenacolo musicale. Nel quale ognuno coltiva altri interessi, chi la scrittura, chi le arti visive, i video...».
Mischiate folk, blues, canzone...
«Forti di una coerenza iniziale: proporre un mix che unisce le musiche con le quali ci siamo formati. Dunque musica americana, afroamericana, latina, senza dimenticare la melodia italiana di cui dicevo prima».
La colonna sonora di “Zoran”?
«Con Matteo Oleotto, regista del film, ci eravamo conosciuti in una rassegna intitolata “Rock in Rebibbia”. Aveva l’idea di questo film, ci eravamo lasciati con una mezza promessa di fare qualcosa assieme. E poi ci ha chiamati».
Musiche “friulane” come il film?
«Proprio “friulane” no, anche se ci abbiamo messo dentro anche qualche spruzzata musicale di Nordest. Diciamo che noi abbiamo sempre coltivato un interesse per le aree di confine, da noi spesso indagate anche all’estero. E poi la nostra è musica apolide, che pesca ovunque».
Prossime cose?
«Il nostro terzo album, che uscirà dopo l’estate. Dico terzo, e non quarto, anche se nella discografia c’è anche quello con la colonna sonora del film».
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