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lunedì 3 febbraio 2014
VELEMIR DUGINA. Mostra a trieste
Anche il ricordo delle persone s’inventa a volte strani percorsi. Prendete Velemir Dugina, il violinista triestino che il 16 gennaio 1987 decise di spegnere la luce della propria vita e della propria arte. Aveva appena ventotto anni e davanti una carriera probabilmente luminosa nel campo della musica.
Ebbene, il percorso della memoria, del ricordo di Velemir passa dalla Germania. Mentre in tutti questi anni a Trieste veniva ricordato e rimpianto - oltre che dai familiari - soltanto da amici e colleghi musicisti, pochi mesi fa in Germania è uscito un libro su di lui: “Velemir Dugina - Eine spurensuche, Una ricerca di tracce”, del docente universitario e musicologo di Dresda Mathias Bäumel. Ne abbiamo scritto su queste colonne.
Ora anche la sua città (anche se in realtà era nato a Melbourne, in Australia, il primo luglio 1958, da madre anglo-irlandese e padre fiumano: a Trieste era arrivato nel ’68, dopo alcuni anni anche a Fiume) gli rende finalmente omaggio, tanti anni dopo le sue precoci gesta nel campo della musica e della cultura cittadina, ma non solo cittadina, degli anni Settanta e Ottanta. Venerdì a Palazzo Costanzi viene infatti inaugurata la mostra “Magrit Dittmann-Soldicic. Sulle tracce dell’anima del violinista Velemir Dugina”.
È organizzata dal Comune di Trieste (grazie all’impegno di Adriano Dugulin, direttore del Servizio cultura e sport) assieme alla Casa della musica, con il supporto fondamentale del suo coordinatore Gabriele Centis.
Ma anche in questo ricordo dell’artista c’entra la Germania. È infatti la fotografa tedesca Magrit Dittmann-Soldicic che attraverso trenta scatti originali rievoca la figura di violinista Velemir. Il resto sono fotografie d’epoca, manifesti, oggetti messi a disposizione da Joanne e Vieko Dugina, sorella e fratello di Velemir: che contribuiscono a «delineare - si legge nella nota della mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 9 marzo - la personalità e la produzione artistica del musicista, di formazione classica ma fortemente orientato verso la musica folk e popolare.
Ancora dalle note degli organizzatori: «Postazioni di ascolto permettono così al visitatore di fare un tuffo nella Trieste tra gli anni Settanta e Ottanta, gustando vere “chicche” come l’album “Trieste contro” del canzoniere popolare Giorni Cantati, a cui Dugina ha collaborato, oltre alla musica dei suoi “Veema” e dei “Whisky Trail”. Sarà inoltre possibile vedere rari filmati d’epoca con spezzoni di trasmissioni televisive, concerti e documentari che hanno visto la partecipazione o la collaborazione del violinista, in parte concessi dalla Rai del Friuli Venezia Giulia”.
«La mia storia su Velemir Dugina - ricorda Magrit Dittmann-Soldicic, tedesca di Itzehoe, classe 1950 - è nata per caso. Mi ha colpito la fotografia sulla lapide della sua tomba. Il suo sguardo era così aperto che mi è sembrato di poter guardare nella sua anima. Ho saputo che aveva finito la sua giovane vita suicidandosi. Nella lettera d’addio ha chiesto di essere sepolto a Stivan, un villaggio dell’isola di Cherso, in Croazia».
Ancora la fotografa: «È stato l’inizio di un’intensa ricerca. Ho ricavato molte informazioni, impressioni ed esperienze viaggiando e incontrando i musicisti che avevano suonato con Velemir, gli amici, i parenti. Ho premuto il pulsante della mia macchina fotografica quando un luogo mi faceva sentire in contatto con Velemir. Empatia per una persona significa anche intrecciare con essa la propria storia, le proprie esperienze e sentimenti».
Velemir aveva cominciato a suonare il violino da bambino, prima a Fiume e poi a Trieste. Aveva sempre alternato musica classica, suonando nell’orchestra del Teatro Verdi di Trieste ma anche dell’Arena di Verona, e popolare. Con il gruppo folk sloveno Stu Ledi, con i triestini Giorni cantati, fondando i gruppi Humus e Veema, collaborando con i fiorentini Whisky Trail e con gli allora sconosciuti Litfiba, con Eugenio Bennato, con l’Ensemble Havadià di un Moni Ovadia non ancora famoso (che lo ricorda qui sopra) e del triestino Alfredo Lacosegliaz, che con Velemir aveva già lavorato.
In questi casi si dice: meglio tardi che mai. Ebbene, tentiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno di questa mostra importante anche se tardiva che Trieste dedica a uno dei suoi figli migliori. Il fatto che libro e mostra arrivino attraverso l’arte e la sensibilità di un musicologo e una fotografa tedeschi, entrambi incuriositi da quella lapide a Cherso, dopo averne letto in “Microcosmi” di Claudio Magris, è poi un ulteriore omaggio all’internazionalità di una figura come quella di Velemir Dugina. Che per molti di noi che lo avevamo conosciuto e apprezzato, rimarrà sempre quel ragazzo dai capelli rossi, sorridente ma malinconico, con il violino sempre appresso, scappato via davvero troppo presto.
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Don't miss the finissage on 9.3. about 18:30 in Sala Veruda!
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Magrit